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L’era di internet ha rivoluzionato il modo con cui un paziente accede alle informazioni mediche: prima l’unico intermediario era il proprio medico, oggi chiunque può venire a conoscenza di ogni tipo di terapia, anche quelle non sperimentate ufficialmente, che spesso sulla rete trovano la giusta vetrina.

I social network sono un ampio terreno di scambio di informazioni sulla salute ed è molto difficile orientarsi tra le tante notizie disponibili e distinguere quelle corrette.

Questo accade soprattutto perché il cambiamento culturale degli ultimi anni da una parte fa riferimento in maniera sempre più sistematica e generalizzata a un cittadino competente e responsabile delle proprie scelte di salute, dall’altra deve fare i conti con la moltiplicazione dei soggetti che propongono un’informazione sanitaria e impone anche ai medici di maneggiare la comunicazione con competenza.

Sono circa il 18% gli italiani che si curano secondo quanto trovato su internet (e non ne parlano con il proprio medico) e più del 20% quelli che discutono la diagnosi e le decisioni del medico perché hanno trovato informazioni sul tema proprio sul web.

E naturalmente questo comportamento è comune a tutto il mondo civilizzato, tanto che in Belgio hanno creato una campagna per mettere in guardia i navigatori: non cercare su Google le tue soluzioni per la salute! Il sito belga di medicina Gezondheid en Wetenschap (che tradotto significa Salute e Scienza) in collaborazione col governo fiammingo, ha infatti deciso di contrastare questa diffusione con una campagna video, ideata dall’agenzia Ddb Brussels, dal titolo esplicito “Non chiederlo a Google”. Il video, estremizzando il concetto, mostra come sia facile e sbagliato darla vinta alla propria ipocondria.

IL CASO DEI VACCINI

Un argomento molto discusso in rete è quello dei vaccini, se proviamo a digitare “vaccinazioni” su Google i primi 200 siti e blog che compaiono sono anti-vaccinatori e non è difficile trovare sui social accese discussioni  tra chi è a favore e chi è contro la vaccinazione obbligatoria dei bambini.

Nel Paese più liberale del mondo e più rispettoso della libertà individuale, gli Stati Uniti, stiamo assistendo a un irrigidimento delle regole relative alla obbligatorietà dei vaccini. In Stati che sono agli estremi come benessere e atteggiamenti sociali (California e Mississipi) si è reintrodotto l`obbligo di vaccinazione per l`ammissione alle scuole: non sono più possibili eccezioni basate su credenze personali e non fondate su certificati problemi medici.

Nel 2014 «Pediatrics», la più autorevole rivista mondiale di pediatria, ha pubblicato uno studio ideato dallo scienziato cognitivo Brendan Nyhan, che dimostra l`inadeguatezza della comunicazione pubblica sui vaccini se questa è orientata a correggere le percezioni distorte. Lo studio ha arruolato 1759 genitori statunitensi coinvolgendoli in un esperimento in cui essi erano casualmente suddivisi in quattro gruppi, ognuno oggetto di specifiche e differenti forme di comunicazione volte a far capire l`utilità della vaccinazione MMR (quella falsamente correlata all`autismo), o a un gruppo di controllo. Il risultato è stato che nessuno degli interventi di comunicazione rivolti ai genitori che non intendevano vaccinare i figli li ha smossi dalla loro posizione.

Anzi è emerso un reale “effetto boomerang” per le campagne a sostegno dei vaccini: i partecipanti allo studio che erano scettici lo sono diventati ancora di più dopo aver ricevuto le informazioni.

– NUOVA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE MEDICA –

La comunicazione sanitaria sta cambiando e le istituzioni devono essere in grado di capire e seguire questo cambiamento. I pazienti giocano un ruolo sempre più cruciale e questo trend sembra destinato a crescere e a portare ulteriori cambiamenti.

Sta guadagnando terreno un nuovo “consumatore” di assistenza sanitaria, il quale, dopo aver perso fiducia in molti elementi del sistema assistenziale, è sempre più propenso a prendersi carico dei propri trattamenti, ad informarsi e a scegliere da solo le proprie terapie. Si tratta del cosiddetto empowered patient, nato anche grazie all’accesso più veloce e diretto alle informazioni attraverso internet che gli offre la possibilità di imparare proattivamente e di più sulle proprie malattie e/o condizioni e quelle dei propri cari, di venire a conoscenza di soluzioni e trattamenti alternativi e anche di condividere le proprie esperienze, confrontandosi su temi medici con altri pazienti da tutto il mondo.

Questo cambiamento coincide con quanto era emerso da una ricerca del 2002 condotta dagli psicologi sociali Edward Deci e Richard Ryan, dopo anni di studi sulla motivazione di studenti e impiegati. I due psicologi hanno infatti osservato che la maggior parte delle persone viene spinta dal bisogno di cercare auto-determinazione di pensiero e di azione in modo da influenzare risultati che abbiamo un impatto sociale sulle loro vite quotidiane. E che, quando l’ambiente rafforza l’auto-determinazione, gli individui sono efficienti e prosperano. Contribuire a soddisfare i loro bisogni di autonomia, di competenza e di relazionalità, i tre bisogni innati che Ryan e Deci hanno individuato, “è fondamentale per creare un ambiente favorevole al personal empowerment”.

Se guardiamo al nostro paese e alla comunicazione sanitaria che viene soprattutto da istituzioni e associazioni notiamo che spesso è incentrata sul concetto che quanto affermato proviene da fonti autorevoli e non può dunque essere messo in discussione.

Essendo però oggi difronte a un “consumatore” sempre più attento, informato e sempre più propenso a comprendere e poter scegliere sulla propria salute è ancora questo il metodo giusto da adottare?

Navigando in rete si può incorrere anche in articoli che propongono di creare comunicazioni pro vaccino incentrate su “Immagini choc, come quelle delle vittime degli incidenti nelle campagne per la sicurezza stradale, ma raffiguranti bambini (e adulti) danneggiati dalle malattie infettive”.

Siamo sicuri che tali comunicazioni siano in grado di modificare i comportamenti e i pensieri di quei genitori che sono contro i vaccini? O potrebbero contribuire a rafforzare le loro convinzioni, come ad esempio quella che le case farmaceutiche lucrano cinicamente sulla pelle dei cittadini?

Nella diffidenza verso i vaccini entrano in gioco soprattutto elementi psicologici: in primo luogo la naturale avversione umana al rischio, nonché la tendenza altrettanto naturale delle persone a lasciarsi guidare nelle decisioni dai sospetti più che dalle prove, e a non fidarsi di chi non sia prossimo per amicizia e parentela, o interessato al loro benessere. Siamo dunque sicuri che una comunicazione con immagini choc sia quello che serve?

Forse comunicazioni che partano dal concetto di empowerment patient e sull’autonomia di scelta dei “consumatori” potrebbero essere maggiormente incisive? Forse porre al centro della comunicazione sanitaria la massimizzazione del valore del paziente potrebbe portare a risultati migliori?

La sfida è cominciata, il cambio di ruolo dei cittadini oggi è qualcosa che non possiamo negare e solo se ne terremo conto e saremo in grado di adottare strategie di comunicazione costruite veramente intorno al paziente potremo costruire con loro relazioni di fiducia e contribuire al benessere di tutti.

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