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Per polarizzazione si intende la tendenza che dal confronto fra persone con le stesse idee si produce il rafforzamento della posizione di partenza. Ossia se persone di idee simili si confrontano su un argomento, si ritrovano alla fine sulle stesse posizioni, ma più̀ estreme rispetto a quelle precedenti la discussione. Questa forma di polarizzazione è presente in tutti i campi della vita umana.

 

I primi studi

Non è un fenomeno nuovo, nato sul web, uno dei primi studi sul meccanismo della polarizzazione venne fatto infatti dagli psicologi sociali Bibb Latané e John Darley, in seguito a un evento tragico avvenuto a New York la notte del 13 marzo del ’64. Quella notte una giovane ragazza di New York che gestiva un bar e viveva con una sua amica in un appartamento nel Queens venne abusata e uccisa davanti al suo portone di casa. Kitty Genovese, questo il nome della ragazza, fu accoltellata alle spalle da Winston Moseley mentre rincasava dopo aver chiuso il bar. I vicini della Genovese gridarono all’aggressore di lasciar perdere la donna e, in un primo istante, l’uomo si allontanò. Dopo una decina di minuti Moseley tornò a cercare la giovane, ormai agonizzante, e la uccise. La durata complessiva dell’aggressione fu di circa mezz’ora: l’uomo abusò della vittima per lasciarla poi morente a terra. La Genovese aveva provato a chiedere aiuto ai vicini, ma nessuno si degnò di aiutarla. Si stima che ben 38 persone abbiano “assistito” alla scena, senza aver mosso un dito.

Articolo di giornale sull'omicidio di Kitty GenoveseAll’epoca dei fatti, la prima spiegazione fornita fu che il comportamento anomalo delle persone presenti era una conseguenza della perdita di valori tipica della società̀ contemporanea e della sempre maggior tendenza all’individualismo e all’indifferenza verso le sofferenze altrui. Ma Bibb Latané e John Darley trovarono questa risposta insoddisfacente e decisero di portare avanti una serie di studi, al fine di spiegare quanto accaduto. In uno studio i ricercatori reclutarono 72 studenti di psicologia, dicendo loro che sarebbero stati coinvolti in una discussione sulla vita universitaria.

Ciascuno veniva portato in una stanza nella quale poteva comunicare con gli altri attraverso un citofono, in turni di due minuti a testa, al fine di salvaguardare l’anonimato. Durante la discussione, un ragazzo prende la parola, ma d’improvviso si sente male. I sintomi sembrano quelli di un attacco epilettico e in effetti il ragazzo ha precedentemente detto di soffrirne. I partecipanti sentono al citofono la sua richiesta d’aiuto, successivamente si sentono dei rantoli e poi più nulla. Per due minuti gli altri partecipanti non possono comunicare tra di loro.

La variabile indipendente è la numerosità del gruppo, che può variare da due a sei partecipanti. Il soggetto sperimentale è sempre e solo uno, gli altri (vittima e altri membri della discussione) sono solo voci registrate. La variabile dipendente principale è il tempo di latenza tra l’inizio dell’audio in cui si sente la vittima stare male e chiedere aiuto e l’uscita del soggetto dalla stanza per chiedere aiuto. I risultati mostrano che l’85% dei partecipanti che sanno di essere l’unico interlocutore della vittima cercano aiuto in modo tempestivo (prima che la vittima smetta di parlare), mentre nel caso in cui la discussione avviene in gruppo solo il 31% dei soggetti interviene per chiedere supporto. La vittima ha quindi maggior probabilità di essere aiutata quando a essere presenti sono una o due persone, mentre questa probabilità cala quando ad assistere sono, ad esempio, in cinque. Alla fine dell’esperimento, viene chiesto ai soggetti di definire quali pensieri hanno avuto nel momento in cui hanno sentito la vittima star male. Emerge che i soggetti non riescono a definire con esattezza cos’hanno pensato, e affermano per lo più: “non sapevo cosa fare”, “ho pensato che dovesse trattarsi di uno scherzo”, “non capivo cosa stava succedendo”.

Nel commentare i risultati raccolti, gli autori affermano che probabilmente i soggetti non hanno deciso di non rispondere. Piuttosto emerge una sorta di conflitto interno, come se si chiedessero: devo fare qualcosa oppure no? Queste reazioni o non reazioni sono causate da due meccanismi: l’ignoranza collettiva e la diffusione della responsabilità̀.

Ossia ciascun membro ritiene che gli altri abbiano più informazioni su un determinato evento e quindi, in situazioni confuse e vaghe, tende ad osservare e a conformarsi al comportamento altrui, senza valutare il fatto che anche gli altri fanno lo stesso. Questo determina, nella maggior parte dei casi, una probabile mancanza d’azione. Nell’incertezza i soggetti si lasciano influenzare del comportamento altrui, lasciandosi guidare non da un’esperienza soggettiva, ma dalla comparazione con il gruppo.

Questo avviene in primo luogo perché la polarizzazione è accentuata in modo proporzionale al senso di appartenenza degli individui. Senso di appartenenza che si amplifica ulteriormente, tanto più̀ i soggetti sono “anonimi tra di loro”, ovvero non si conoscono personalmente. Confrontarsi solo con persone che non solo la pensano allo stesso modo, ma che sostengono fortemente quell’opinione, porta ad un eccesso di convinzione della correttezza di quella stessa opinione.

In secondo luogo tutti noi ci sentiamo più sicuri delle nostre idee quando sono corroborate da altri; e più abbiamo certezze, più tendiamo a diventare estremisti. Le opinioni delle persone diventano più̀ estreme per il semplice fatto che il loro punto di vista iniziale riceve conferme e così loro acquisiscono maggiore sicurezza.

 

Il pericolo sul web

Gruppo di no vaxLa dinamica della polarizzazione dei gruppi assume caratteristiche potenzialmente molto pericolose sul web, in cui si può̀ trovare di tutto e il contrario di tutto, a prescindere dalla fondatezza della fonte. Così, dopo aver trovato il giusto gruppo, il giusto ambiente, ogni individuo opera rinforzando e radicalizzando la sua posizione; ogni gruppo opera in questo modo e si identifica per contrasto con un antagonista per pura scelta dialettica. Così si finisce nelle guerre tra tribù e in un mondo di persone arrabbiate perché́ è per contrasto che si rafforza la propria identità.

Diversi studi hanno dimostrato come abbia avuto spesso effetti negativi sulla salute mentale, sociale e politica delle persone, limitando la loro capacità di comprendere e apprezzare le prospettive degli altri, creando tensioni e conflitti, e favorendo la diffusione di disinformazione e propaganda online.

Abbiamo visto, ad esempio, durante la pandemia come i pregiudizi, le credenze, il minimizzare la gravità del virus, sono stati un vero e proprio ostacolo alla circolazione di una comunicazione attendibile, efficace e credibile. La polarizzazione ha contribuito alla diffusione della disinformazione con il rischio di conseguenze disastrose sul piano della prevenzione e dei comportamenti di salute.

Ma è tutta colpa del social network?

In uno studio del 2016, di Seth Flaxman, Sharad Goel e Justin M. Rao, dal titolo “Filter Bubbles, Echo Chambers, and Online News Consumption” gli autori affrontano il problema esaminando le cronologie di navigazione degli utenti, e giungono a risultati che potremmo definire banali, ma comunque illuminanti. I risultati evidenziano che i social network e i motori di ricerca sono associati a un aumento della distanza ideologica media tra individui, pur tuttavia tali canali sono anche associati a un aumento dell’esposizione degli individui a materiali di ideologia differente dalla propria. Anche uno studio di Kartik Hosanagar, Daniel Fleder, Dokyun Lee e Andreas Buja “Will the Global Village Fracture Into Tribes? Recommender Systems and Their Effects on Consumer Fragmentation”, dell’Università della Pennsylvania, riscontra che le “raccomandazioni” degli algoritmi incrementano l’esposizione a contenuti differenti. Se pensiamo al funzionamento di servizi quali Spotify possiamo comprendere più facilmente il motivo.

Servizi di quel tipo, infatti, utilizzano le scelte degli utenti per proporre musica simile, ma simile non vuol dire esattamente uguale, e allo stesso modo gli algoritmi di presentazione delle notizie forniscono agli utenti contenuti simili ma mai esattamente uguali. Così se l’utente sceglie di leggere quella notizia “diversa”, l’algoritmo si adegua e continua a presentare notizie che man mano allargano lo spettro ideologico. I servizi online, infatti, non hanno alcun motivo di impedire alle persone di leggere cose diverse, se queste esprimono preferenze in tal senso. Se la persona non legge le notizie “simili ma differenti”, allora è la sua scelta a rinchiuderlo nella sua bolla ideologica.

Echo chamberIn breve, vi sono persone alle quali non piace discutere o comunque mettere in discussione le loro idee, che tendono a visitare solo i siti che confortano il loro modo di vedere le cose. Allo stesso modo che una persona di destra compra un giornale di destra e non compra uno di sinistra, e viceversa. Quindi, online, queste persone tendono a curare i loro feed sui social in modo da non incontrare opinioni divergenti che pongano in discussione le loro opinioni. Inoltre, come è di banale evidenza, queste persone tendono a leggere notizie condivise dai loro amici esattamente allo stesso modo come ascoltano le opinioni solo dei loro amici. Di contro, vi sono persone che non si preoccupano di mettersi in discussione e che non hanno alcuna difficoltà a trovare argomenti differenti dai propri, e a trovare punti di vista differenti, sia su Twitter che su Facebook. Insomma, come risulta anche dallo studio di Matthew Gentzkow e Jesse M. Shapiro “Ideological Segregation Online and Offline”, la segregazione ideologica nel consumo delle notizie è assolutamente comparabile tra l’online e l’offline, nonostante la teoria dica il contrario.

In estrema sintesi secondo questi studi non è Internet o i social media a chiudere le persone in una echo chamber, quanto piuttosto un comportamento specifico del singolo individuo, dipendente dalla sua personalità. Chi rifugge la possibilità di prendere in considerazione opinioni differenti dalle sue, persegue tale comportamento anche sul web, abbeverandosi ad un’unica fonte di notizie, esattamente come fa offline. Mentre chi preferisce confrontarsi con idee diverse dalle sue non ha particolari difficoltà a trovare nuovi argomenti sia sui social, sia tramite i motori di ricerca, sia tramite i mille rivoli informativi che caratterizzano l’ambiente digitale. Anzi, i social media sono associati ad una varietà di fonti che comunque espone gli utenti a una maggiore diversità di opinioni. Sarebbe molto meglio, quindi, concentrarsi principalmente sulle competenze digitali o “media literacy” di ognuno di noi e sull’abilità degli utenti di governare dati, informazioni e variabili utilizzando il cosiddetto pensiero critico, ossia la capacità di analisi e valutazione.

Come contrastare il fenomeno?

Ognuno di noi può utilizzare alcune strategie per cercare di combattere il fenomeno della polarizzazione:

Incentivare la discussione civile: sui social network si dovrebbero incentivare le discussioni civili e rispettose tra utenti, creando spazi di dialogo e moderando i contenuti offensivi e discriminatori. Ciò può aiutare a rompere le barriere tra gruppi ideologici e a promuovere una maggiore comprensione reciproca.Rafforzare le capacità di media literacy: le persone dovrebbero essere educate sulla media literacy, ovvero la capacità di valutare criticamente le informazioni online, in modo da poter identificare e respingere le informazioni fuorvianti o false.Combattere la disinformazione: le organizzazioni possono lavorare per identificare e combattere la disinformazione e la propaganda online, attraverso la verifica dei fatti e la promozione di contenuti accurati e affidabili.

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Promuovere la diversità delle fonti: è importante promuovere la diversità delle fonti di informazione e incoraggiare le persone a cercare informazioni da fonti affidabili e diverse. Questo può essere fatto attraverso campagne di sensibilizzazione, la promozione di media indipendenti e la formazione di abilità di valutazione critica delle informazioni.

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Incentivare la discussione civile: i social network dovrebbero incentivare le discussioni civili e rispettose tra utenti, creando spazi di dialogo e moderando i contenuti offensivi e discriminatori. Ciò può aiutare a rompere le barriere tra gruppi ideologici e a promuovere una maggiore comprensione reciproca.

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Rafforzare le capacità di media literacy: le persone dovrebbero essere educate sulla media literacy, ovvero la capacità di valutare criticamente le informazioni online, in modo da poter identificare e respingere le informazioni fuorvianti o false.

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Combattere la disinformazione: le organizzazioni possono lavorare per identificare e combattere la disinformazione e la propaganda online, attraverso la verifica dei fatti e la promozione di contenuti accurati e affidabili.

Queste strategie possono aiutare a combattere la polarizzazione sui social network e promuovere una maggiore diversità di opinioni e di punti di vista. Tuttavia, è importante riconoscere che non esiste una soluzione unica per questo fenomeno complesso e che richiederà un impegno a lungo termine da parte di tutti gli attori coinvolti.

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