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E’ opinione condivisa da molti che la pubblicità incida notevolmente sul consumo di alcol, soprattutto nei paesi con forti interessi in questo settore, dove la spesa per la pubblicità è nettamente elevata, come l’Italia.

I rapporti fra alcol e pubblicità sono molto complessi e le numerose ricerche internazionali non hanno dato delle risposte concrete sul ruolo diretto o indiretto della pubblicità nell’aumentare o mantenere i consumi alcolici.

Già da molti anni è studiato il ruolo dei mezzi di comunicazione sul comportamento dell’individuo dando ora un potere assoluto, ora minore, ai mass-media, sì da creare due teorie fondamentali sulla pubblicità: la “teoria forte” e la “teoria debole”.

Secondo la teoria forte il consumatore viene completamente manipolato e suggestionato dalla pubblicità, è un soggetto passivo, indistinto dagli altri e privo di capacità rielaborativa; secondo invece la teoria debole che ha ottenuto un consenso minore, la pubblicità “aumenta le conoscenze del consumatore anche se questo tende ad esporsi alla pubblicità di prodotti che già acquista: non è in grado di convertire le convinzioni né di vivere le resistenze” (G. Fabris).

La pubblicità, per imporre un prodotto gioca sulle aspirazioni più naturali dell’uomo, quali il successo sociale, la bellezza, la ricchezza, il viver sani, i cibi naturali, l’affetto, le amicizie, l’amore, la famiglia, l’avventura, la vitalità, il gioco e lo sport. È un secolo che gli slogan ci stimolano a comprare e a consumare, ma soprattutto a sognare, ad immaginare, a risvegliare passioni nascoste o anche desideri inconfessabili.

La pubblicità, non può che esaltare senza riserve i prodotti che tende a proporre, spesso con formule espressive il più̀ possibili penetranti, ancor di più̀ quando ne sono protagonisti testimonial appartenenti al mondo dello spettacolo e dello sport, facendo salire, il prodotto, su un gradino più̀ alto della desiderabilità. Si evocano mondi e modelli comportamentali irreali che veicolano un messaggio distorto basato su una interpretazione ambigua degli stili di vita delle classi sociali più̀ ricche.

La comunicazione realizzata in questo settore ha una rilevanza notevole, visto che ha comportato per molti versi un reindirizzamento della cultura del bere, prima ad esclusivo appannaggio degli adulti, che utilizzavano questa bevanda solo in particolari occasioni di festa e, per secondo, abbassando notevolmente il livello della fascia di età dei consumatori fino ad arrivare ad fasce di età che legalmente non potrebbero farne uso.

I messaggi, infatti, risultano rivolti specialmente ai giovani e alle donne, tanto che su riviste prettamente femminili c’è stato un aumento della pubblicità specialmente nei confronti di birre e di superalcolici.

La pubblicità tende a proporre nuovi valori nell’uso delle bevande alcoliche facendo ricorso a modelli di comportamento come l’associazione simbolica di alcol e ricchezza, di alcol e sesso o di alcol e salute.

Le attuali abitudini legate al bere dei giovanissimi sembrano essere “promosse” da spot pubblicitari rivolti a quel tipo di target. Lo stile del bere dei giovani è mutato non solo per la tipologia di bevande alcoliche consumate, ma anche per le modalità̀ di assunzione. Infatti il maggior consumo di alcol avviene durante i fine settimana e in particolari momenti di socializzazione. L’alcol è spesso visto come facilitatore nei processi di relazione con gli altri e il suo consumo è associato al divertimento, all’amicizia e allo sballo.

L’analisi del contenuto degli spot televisivi degli alcopops mostra chiaramente che non vengono rispettate le disposizioni di legge riguardo alla pubblicità di bevande alcoliche che vietano la raffigurazione del consumo di alcol in modo positivo, infatti negli spot esso è rappresentato come mediatore nei momenti di socializzazione e di svago e non vengono evidenziati gli effetti negativi del suo consumo.

La pubblicità̀ propone un modello di mondo irreale, che evoca il mondo possibile del brand (marca) e dei valori ad esso associati. Le osservazioni sull’andamento del fatturato, sull’affollamento e sui contenuti degli spot di bevande alcoliche in Italia evidenziano spostamenti negli investimenti pubblicitari e confermano che il bersaglio preferito delle campagne sono i giovani, gli adolescenti e le donne.

Legittima è comunque la richiesta di tutelare bambini e adolescenti da un possibile condizionamento presente o futuro nel loro rapporto con l’alcol e la tutela di quelle persone che vivono situazioni di disagio psicologico per le quali il messaggio pubblicitario potrebbe assumere un eccessivo valore simbolico.

Sarebbe necessario che in Italia crescesse la sensibilità̀ e l’attenzione verso il marketing delle bevande alcolichepromuovendo un’azione di monitoraggio continua per sollecitare l’applicazione effettiva della normativa esistente e per disporre di argomentazioni sufficienti a proporre eventuali revisioni.

Ci dovrebbe fare riflettere questa osservazione di Kotler, il primo teorico del marketing sociale: Va riconosciuto – egli afferma – che il consumatore desidera anche ciò che può non fargli bene. Se i marketers sono in grado di rispondere anche ai desideri potenzialmente dannosi ciò può rendere felici i consumatori solo nel breve termine. A lungo andare, questi e l’intera società rischiano invece di soffrire di ciò che i marketers e le imprese hanno fatto per soddisfare qualsivoglia desiderio”.

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