È passato quasi un anno dallo scoppio nel mondo occidentale della pandemia da Covid-19. Un anno quanto mai difficile, abbiamo scoperto il significato di lock down, come si usano le mascherine, abbiamo smesso di abbracciarci e stare troppo vicini. Per fortuna abbiamo anche scoperto che la scienza ha fatto passi da gigante e ben tre vaccini sono stati messi a punto in pochi mesi. Sono vaccini di nuova generazione, con un’altissima efficacia e in alcuni stati, come la Gran Bretagna, è già partita la campagna vaccinale. In Italia a gennaio si inizieranno a vaccinare persone a rischio e operatori, successivamente tutto il resto della popolazione, per quella che sarà la più grande campagna vaccinale mai vista. E la speranza di uscire da questa crisi si fa più vicina.
Ma non tutti la pensano così. Sono molti coloro che si dichiarano scettici e spaventati dai nuovi vaccini. Una ricerca compiuta dalla società di ricerche Swg e riportata da AGI ha rilevato che il 44% del campione intervistato si è detto disponibile a vaccinarsi appena sarà pronto il vaccino a gennaio. Il 37% è contrario a vaccinarsi, dato quest’ultimo in aumento del 3% dalla precedente rivelazione del 13 novembre, mentre il 19% ha risposto “non saprei”.
Molti di quel 37% appartiene alla schiera dei no vax, di coloro che già da anni si dichiarano contro le vaccinazioni mettendole, erroneamente, in relazione con malattia quali l’autismo. Una parte di essi però sono dei “nuovi scettici”, persone che ritengono il vaccino pericoloso, che giudicano i risultati scientifici come non neutrali, ma influenzati da ideologie e interessi economici.
Questo anche perché, come ha detto Piergiorgio Odifreddi in una recente intervista ad Huffpost Italia gli epidemiologi “Hanno dato un’immagine pessima…La scienza avrebbe dovuto mostrare concordia e unanimità di giudizio, invece hanno fatto la ruota del pavone, e pur di accaparrarsi un prime time in televisione hanno detto tutto e il contrario di tutto. E’ vero che il virus non si conosceva, ma le stesse persone hanno cambiato idea sullo stesso argomento ogni cinque minuti”.
Persuasione o obbligo?
Per raggiungere l’ambita immunità di gregge è necessario vaccinare al meno il 60-70% della popolazione italiana. Sarà possibile raggiungere questa soglia?
Il Ministro della Salute ha dichiarato che non verrà introdotto nessun obbligo, ma si farà leva sulla persuasione. Persuadere una persona significa convincerla a fare qualcosa che altrimenti non farebbe. Significa mettere in atto un processo comunicativo che utilizza argomenti razionali e stimoli di tipo emozionale per cambiare il modo di agire di chi riceve il messaggio.
Ma bisogna anche tener conto che quando si comunicano temi delicati come quello dei vaccini bisogna sempre essere coscienti di chi riceverà l’informazione, del suo grado di formazione e di health literacy, ossia di alfabetizzazione sanitaria: la competenza necessaria per comprendere per riconoscere i propri bisogni di salute, assumere un maggiore controllo sui fattori che incidono sulla salute, contribuire attivamente alle scelte terapeutiche, adottare comportamenti salutari, etc. Spesso questo aspetto viene dato per scontato, quando invece la prima riflessione da porsi era ed è se la popolazione tutta è preparata a fronteggiare questa improvvisa e a tratti “violenta” ondata comunicativa, senza correre il rischio di farsi travolgere. La popolazione possiede le skills necessarie per rintracciare, apprendere e applicare indicazioni comportamentali nuove e a tratti contraddittorie e incerte?
I risultati delle indagini svolte negli anni scorsi a livello nazionale e europeo (Sørensen K Pelikan JM Röthlin F et al. Health literacy in Europe: comparative results of the European Health Literacy Survey (HLS-EU), European Journal of Public Health, 2015) non sono purtroppo incoraggianti: in Europa la metà della popolazione adulta ha competenze di health literacy scarse o addirittura critiche, manca, quindi, delle abilità necessarie per informarsi in modo adeguato e gestire la propria salute in maniera attiva e consapevole, soprattutto i gruppi più vulnerabili e più a rischio di scarsa health literacy quali gli anziani, le minoranze etniche, i soggetti in condizioni socio culturali svantaggiate.
La pandemia e l’infodemia si sono inserite in questo contesto ed appare evidente come meccanismi quali i social network hanno contribuito a plasmare gli atteggiamenti e le credenze delle persone, normalizzare le fake news e rendere difficile contrastare con informazioni corrette la diffusione virale della disinformazione. Anche grazie ad alcuni meccanismi della nostra mente di cui si è parlato spesso ultimamente come il bias di conferma, ossia quel meccanismo che ci fa accettare le sole informazioni che sono aderenti al nostro sistema di credenze, o il fenomeno delle eco chambers, quella bolla invisibile in cui ognuno di noi vive quando è online, grazie alla quale riceviamo quasi esclusivamente informazioni che confermano ciò che crediamo.
Inoltre l’infodemia seguita alla diffusione del virus, ossia questo surplus di informazioni, questa babele di notizie riguardanti il Covid-19 non rende semplice distinguere le notizie pertinenti e affidabili per prendere decisioni importanti per sé stessi e la propria famiglia, e a livello più alto per la comunità, le organizzazioni sanitarie e i governi, è davvero complesso.

La comunicazione come ci può aiutare?
L’importanza dell’alfabetizzazione sanitaria in ogni azione di tutela e promozione della salute rende indispensabile accrescere conoscenze, abilità e competenze individuali e creare un contesto di supporto a questo scopo, ma è altrettanto necessario anche che i comunicatori oggi siano in grado di unire alla formazione scientifica anche una comunicativa. Il mondo attuale è complesso, e gli scienziati devono imparare a trasmettere il senso di questa complessità nelle risposte ai quesiti che la società inevitabilmente continua a proporre.
Quando si comunica la scienza i fattori emotivi possono diventare un prezioso alleato o un terribile nemico, e a volte le due cose insieme. Se noi desideriamo che le persone facciano scelte più razionali, dobbiamo fare di più che presentare quelle scelte come razionali; è fondamentale renderle scelte emotivamente rilevanti.
Inoltre il paziente moderno è un paziente sempre più attento, informato e con aspettative elevate. Non si accontenta più di seguire semplicemente le direttive del proprio medico per risolvere una malattia , fare scelte di vita salutari o, come in caso di pandemia, adottare comportamenti protettivi per se e la comunità. Le comunicazioni top-down oggi non funzionano più, bisogna creare comunicazioni che partano dal concetto di empowerment patient e basate sull’autonomia di scelta dei “consumatori”. Il cambio di ruolo dei cittadini oggi è qualcosa che non possiamo negare e solo se ne terremo conto e saremo in grado di adottare strategie di comunicazione costruite veramente intorno a loro potremo costruire relazioni di fiducia e contribuire al benessere di tutti.
L’epidemia ha sicuramente messo in luce le carenze di alfabetizzazione sanitaria e di abilità di comunicazione del mondo scientifico, sta a tutti noi far si che passata l’emergenza queste tematiche non cadano nel dimenticatoio, ma vengano finalmente analizzate e affrontate nel modo migliore.
Mi torna in mente una frase letta tempo fa in un’intervista fatta a Piero Angela, “Quando un lettore (o ancor più un telespettatore) non capisce, la colpa non è sua: ma di chi non ha saputo comunicare. Cioè dell’autore.”