“Era l’inverno del 2020, credo, e gli occhi di tutto il paese erano puntati su di noi.
Avevo appena compiuto 22 anni, studiato ingegneria a Chemmnitz, quando arrivò la seconda ondata.
22 anni…a quell’età vuoi far festa, studiare, conoscere nuova gente. Cose così. Andare a bere con gli amici.
Ma il fato aveva in serbo altro per noi.
Un pericolo invisibile minacciata tutto quello in cui credevamo.
All’improvviso il destino della nazione era nelle nostre mani…”
Inizia così lo spot del governo tedesco con cui si invitano i giovani a restare a casa. Una persona anziana che parla di da un futuro immaginario di tempi lontani, ma scolpiti indelebilmente nella sua memoria. Una musica di sottofondo enfatica, epica e un’aria greve. Ricorda certi documentari sulla seconda guerra mondiale che tutti noi abbiamo visto almeno una volta. Il racconto sale d’intensità, ma a un certo punto ecco il colpo di scena:
Abbiamo raccolto tutto il nostro coraggio e abbiamo fatto quello che ci si aspettava da noi.
L’unica cosa giusta da fare. Noi l’abbiamo fatta.
Ossia: assolutamente niente.”
I commenti allo spot tedesco
In Italia lo spot ha fatto molto discutere, i pareri sono contrari tra chi ne esalta la creatività e chi invece disprezza la forte ironia su un argomento molto delicato.
Ad esempio Cinzia Xodo, formatrice, fondatrice di TEDxBergamo e speaker coach TEDxPescara, ha condiviso su Facebook un lungo post, ripreso da Bergamo News, in cui definisce la comunicazione “irrispettosa di chi si rimbocca le maniche ed ogni giorno lavora, studia, fa la sua parte con entusiasmo”.
Della stessa idea anche Dino Amenduni, socio e consulente politico dell’agenzia Proforma, agenzia di comunicazione specializzata in campagne pubblicitarie, comunicazione politica, crisis management e molto altro. Come riportato su un articolo di Repubblica, Amenduni ci fa notare come sia difficile in Italia far passare con leggerezza un invito ai giovani a “restare sul divano”. “In un Paese con uno dei tassi di disoccupazione giovanile quasi al 30%, un messaggio del genere rischia di suonare come uno sfottò“.
E anche che “Il governo tedesco si può permettere di ironizzare su questa questione perché c’è un rapporto con l’opinione pubblica talmente favorevole che gli consente di potere scherzarci su, anche in un momento così difficile, e di giocare sul meccanismo della delega: cioè chiedere ai cittadini di fare qualcosa”. Un messaggio più semplice da veicolare – aggiunge ancora Amenduni – “se i cittadini ritengono che tu, governo, stia facendo già tutto il possibile”. E i dati sono molto eloquenti: il 74% dei tedeschi ha fiducia nelle capacità di gestione dell’emergenza da parte del governo, contro il 37% dei cittadini italiani.
Ma non sono tutte negative le opinioni rispetto a questo spot. Ad esempio secondo Davide Boscacci, direttore creativo esecutivo di Publicis Italia, “L’uomo è irrazionale e in un periodo in cui siamo subissati di dati, direttive e informazioni fare leva sul lato emozionale diventa molto efficace: genera emozioni capaci di orientare i comportamenti. Lo spot cambia l’angolo di osservazione del problema. E lo fa con un tono di voce leggero, ma garbato e ovviamente non fuori luogo: quello di cui abbiamo bisogno, visto il clima purtroppo pesante”.
E gli altri paesi che fanno?
Guardando gli spot realizzati dagli altri paesi, come Francia o Spagna, si nota subito che la Germania è stata l’unica a utilizzare un tono ironico, leggero. Gli spot spagnoli ad esempio sono scioccanti e provocatori. Anche essi si rivolgono ai giovani, ma utilizzano un linguaggio di tipo paternalistico, mostrando cosa potrebbe succedere se non segui le regole. Uno spot spagnolo mostra infatti un giovane mentre partecipa a una festa, viene a sapere che sua nonna ha il coronavirus e sicuramente non supererà la notte. “Siamo stati tutti così attenti”, gli dice la mamma, “non sarai mica stato a una festa?”. “No, no”, replica lui.
Anche la Francia ha deciso di utilizzare immagini che mostrano la dura realtà e le conseguenze di azioni errate. Un banale saluto sul posto di lavoro e un abbraccio tra due amici all’uscita della scuola. Così un marito e un figlio possono portare in casa il virus e trasmetterlo alla mamma o alla moglie durante un festa di compleanno. Lei finisce in ospedale.
Tutti possiamo essere eroi, in Germania
Perché la Germania ha deciso di differenziare così tanto la tipologia della sua comunicazione per la prevenzione del coronavirus?
Lo spot è chiaramente rivolto al popolo dei giovani, forse è proprio per il tipo di target che si è deciso di utilizzare una narrazione differente, non provocatoria né scioccante. Possiamo intravedere nella narrazione di questo spot il concetto del ”Viaggio dell’eroe”, modello narrativo alla base dello storytelling, utile per scrivere storie convincenti e accattivanti. L’eroe del racconto è il protagonista dello storytelling e percorre un viaggio che lo porta da uno stato di quiete ad un nuovo stato di quiete più ricco attraverso ostacoli e prove. Nello spot tedesco il viaggio è un percorso interno, quello del giovane che deve rinunciare alla sua quotidianità, a frequentare amici e feste per stare chiuso in casa e prevenire la diffusione del virus. E ogni giovane può rispecchiarsi nel protagonista, lo spot dice ai giovani che l’eroe possono essere loro, che tutti i giovani possono essere eroi. Perché, a fronte di una situazione comune (la quarantena, l’isolamento, la riduzione delle attività), ognuno di noi ha la possibilità di fare la differenza.
A questo hanno fatto seguito altri due spot in cui appare ancora più evidente la strategia comunicativa scelta. Uno spot in cui a parlare è l’altra metà della coppia, la compagna del nostro primo eroe, il video usa lo stesso tono greve e lo stesso richiamo a vecchi documentari sulla guerra, mostra immagini di quotidianità all’interno della casa della coppia e si conclude con queste parole:
“…forse è corretto quando le persone dicono che tempi speciali richiedono eroi speciali e sì, noi lo eravamo.”
In un altro spot invece a parlare è Tobi. Anche lui racconta dal futuro gli strani e difficili tempi del coronavirus, nell’inverno del 2020. Tempi difficili, ma durante i quali diventare un eroe era tutto sommato facile per un pigrone come lui:
“La pigrizia poteva salvare vite umane e io in questo ero maestro!”
In sintesi abbiamo una comunicazione provocatoria, che si appella al senso di responsabilità e direi anche al senso di colpa dei giovani, portando avanti lo stereotipo per cui proprio loro sono i più menefreghisti e meno rispettosi delle regole.
Dall’altra abbiamo una comunicazione leggera, ironica, che fa leva sulle emozioni e sulla naturale tendenza di ogni giovane di essere protagonista in prima persona.
Sicuramente per effettuare un’analisi approfondita andrebbero anche analizzate le caratteristiche del target di ogni paese. A mio avviso giocare su emozioni positive utilizzando una narrazione più simile a quella propria dei giovani, abituati dai videogiochi e dalla rete ad assistere e prendere parte al viaggio dell’eroe, può risultare più incisivo e convincente. I giovani oggi sono abituati dai social a essere protagonisti in prima persona e associarli a un eroe positivo piuttosto che a un untore del nostro secolo rende la comunicazione molto più persuasiva e in tempi bui abbiamo molto bisogni di eroi!